Il 2 giugno La Casa di Giuseppe sarà presente al Torneo di Rugby che si terrà presso il Campo IV Circolo di Benevento (dopo la stazione centrale) dalle ore 10 alle 17 potrete trovarci presso il gazebo dell'Associazione per vederci e fare quattro chiacchiere.
Inoltre il 3 giugno si celebrerà una messa presso la Chiesa San Giuseppe Artigiano Contrada Piano Cappelle alle ore 19. Vi aspettiamo
L’allarme di De Cicco che ha adottato tre bambini in Brasile, Cambogia e Sud Etiopia. Attività e scopi della ‘Casa di Giuseppe’
Se diventare genitori è già di per sé un passo importante nella vita di ognuno, esserlo attraverso l’adozione è un percorso più complesso. A differenza della nascita naturale che è in genere caratterizzata da legami di continuità nel tempo e nello spazio, in quella adottiva si realizza, infatti, un incontro tra persone con storie e vissuti diversi, emozioni dolorose e bisogni profondi.
Un gruppo di famiglie adottive della provincia di Benevento ha deciso di mettersi insieme e creare un’associazione per discutere, confrontarsi. E’ nata così “La Casa di Giuseppe”, il primo sodalizio nel Sannio così composto, da un’idea di Pino De Cicco che ne è il presidente. Il Vaglio.it lo ha intervistato per comprendere le finalità dell’associazione. Ne è venuto fuori un racconto denso di contenuti, vista l’esperienza personale e diretta di De Cicco che ha 5 figli di cui tre adottati.
Sostanzialmente sono stati accolti bene in città, nonostante, cosa gravissima, ci siano ancora episodi di razzismo tra le nuove generazioni. Un grido d’allarme, seppur tra le righe, che De Cicco ha voluto lanciare spiegandoci la sua volontà di creare un osservatorio per tentare di mettere in atto una formazione-informazione su un fenomeno difficile da debellare.
Bruna Caroline è originaria del Brasile e sta per diventare maggiorenne, Andrea Channa proviene dalla Cambogia e ha 10 anni, Marta Tsehaynesh ha 7 anni ed è stata adottata nel Sud dell’Etiopia. Con Mariaelena e Cosimo compongono la grande famiglia di De Cicco che ne ha parlato con entusiasmo e soddisfazione.
La sua ‘avventura’ adottiva ha avuto inizio nel 1994 e, al momento, si è fermata al 2010. “Si tratta di un mondo magico – ci ha più volte ripetuto – è una volta entrati è difficilissimo uscirne”.
“Fino a molti anni fa – ha detto De Cicco – il genitore non spiegava nemmeno al figlio di essere stato adottato. E’ meglio invece che gli si dica che è nato in modo speciale, dal cuore. Quando siamo partiti per il Brasile Mariaelena e Cosimo avevano 9 e 6 anni. Ovviamente li abbiamo coinvolti dall’inizio nella nostra scelta perché senza il loro ‘consenso’ non avremmo adottato”.
Una decisione presa pur avendo e potendo continuare ad avere figli naturali, sicuramente non tanto frequente. Il 97% delle coppie che intraprende tale strada, infatti, ha problemi nel concepire un bambino. Il presidente dell’associazione ha però tenuto a precisare come, anche in tali situazioni, non si tratti di un ripiego o di un figlio di serie B, ma di un’occasione diversa offerta dalla vita.
Cosa ha spinto Pino e sua moglie Annamaria? La loro è un’idea nata già durante il periodo del fidanzamento, messa inizialmente da parte dopo il matrimonio, poi ripresa.
“Avendo già due bambini – ha spiegato De Cicco – ci siamo resi conto di quanto fosse importante per loro avere i genitori e abbiamo quindi deciso di dare una famiglia a chi non aveva nulla. Io e mia moglie siamo soliti dire che la cicogna di casa è stata un po’ distratta e ha messo i nostri figli nel mondo. E’ toccato a noi cercarli”.
“Viaggiando ci siamo resi conto inoltre – ha aggiunto il presidente – che in Italia il bambino abbandonato, nonostante sia un dramma, può avere un minimo di rete legata alla Casa Famiglia che lo accoglie. In alcuni Paesi invece non c’è nulla”. Ci ha quindi raccontato un episodio raccapricciante accaduto a un bambino di 8 anni in Etiopia che, per fame, aveva rubato una patata in un campo. Il contadino l’ha visto e si è fatto giustizia da solo, cospargendogli la mano di alcol e dandole fuoco. “Dovendo aprire la famiglia – ha asserito De Cicco – per accogliere un figlio, l’adozione internazionale è stata una motivazione in più. Abbiamo poi voluto dare spazio a chi, per diversi motivi, non poteva recarsi all’estero anche se l’adozione nazionale pare essere più difficile poiché i bambini non sono molti e sono concentrati soprattutto nel meridione dell’Italia”.
A farla da padrona, però, continua a essere la burocrazia, con lunghissimi tempi d’attesa (anche di oltre 4 anni) che, se da un lato aiutano a maturare l’idea della scelta compiuta, dall’altro diventano una sofferenza per la coppia e anche per i bambini.
Per l’adozione internazionale ci si può rivolgere a circa 70 Enti, in Italia che hanno metodi diversi e incrociano Paesi con leggi differenti. Basti pensare che, con una recente modifica di legge, in Cambogia non è più possibile adottare se si hanno già due figli e in ogni caso se il bambino ha superato gli 8 anni. Per l’Ucraina, quando i futuri genitori sono chiamati, conosceranno il nome e l’età del piccolo solo dopo essersi recati lì, dove avviene l’‘abbinamento’.
L’adozione si conclude con la ratifica della sentenza all’estero da parte del Tribunale italiano.
Nota dolente è quella del ‘post adozione’ in cui “spesso le coppie si trovano da sole. Al rientro hanno bisogno di confrontarsi con altre persone per comprendere come risolvere i problemi che sorgeranno. C’è bisogno di creare una rete. L’associazione vuole offrire anche questo, prevendendo di organizzare incontri con esperti”.
Purtroppo, come detto, quando i bambini provengono da altri Paesi, ancora oggi, bisogna fare i conti con il razzismo. “Uno dei progetti della Casa di Giuseppe – ha asserito De Cicco – è istituire un osservatorio con l’obiettivo di monitorare il territorio facendo comprendere, anche attraverso dati scientifici, che il razzismo non ha motivo d’esistere. Un po’ più difficile, ma vorremmo anche dialogare con gli adulti sull’argomento”.
Ma perché il nome ‘La Casa di Giuseppe’? “E’ un invito – ha detto Pino – alla riflessione sulla figura del padre adottivo di Gesù e alla dinamiche spirituali inerenti la famiglia di Nazareth”.
Non sempre, sfortunatamente, le adozioni vanno a buon fine. Esistono anche i ‘fallimenti’, che rappresentano 1-2% dei casi. L’associazione per evitarli ha tra le sue svariate attività l’organizzazione di incontri di accompagnamento e sostegno per coppie che si avvicinano all’adozione, talvolta con il contributo di professionisti esterni esperti nelle tematiche relative all’infanzia in difficoltà, incontri di mutuo-aiuto per genitori adottivi sia condotti da professionisti esterni (psicologo e assistente sociale) che gestiti autonomamente dai partecipanti, percorsi di gruppo sia per i bambini (con attività ludiche e psicomotorie), sia per ragazzi adolescenti e pre-adolescenti e giovani adulti adottivi.
Un gruppo di famiglie adottive della provincia di Benevento ha deciso di mettersi insieme e creare un’associazione per discutere, confrontarsi. E’ nata così “La Casa di Giuseppe”, il primo sodalizio nel Sannio così composto, da un’idea di Pino De Cicco che ne è il presidente. Il Vaglio.it lo ha intervistato per comprendere le finalità dell’associazione. Ne è venuto fuori un racconto denso di contenuti, vista l’esperienza personale e diretta di De Cicco che ha 5 figli di cui tre adottati.
Sostanzialmente sono stati accolti bene in città, nonostante, cosa gravissima, ci siano ancora episodi di razzismo tra le nuove generazioni. Un grido d’allarme, seppur tra le righe, che De Cicco ha voluto lanciare spiegandoci la sua volontà di creare un osservatorio per tentare di mettere in atto una formazione-informazione su un fenomeno difficile da debellare.
Bruna Caroline è originaria del Brasile e sta per diventare maggiorenne, Andrea Channa proviene dalla Cambogia e ha 10 anni, Marta Tsehaynesh ha 7 anni ed è stata adottata nel Sud dell’Etiopia. Con Mariaelena e Cosimo compongono la grande famiglia di De Cicco che ne ha parlato con entusiasmo e soddisfazione.
La sua ‘avventura’ adottiva ha avuto inizio nel 1994 e, al momento, si è fermata al 2010. “Si tratta di un mondo magico – ci ha più volte ripetuto – è una volta entrati è difficilissimo uscirne”.
“Fino a molti anni fa – ha detto De Cicco – il genitore non spiegava nemmeno al figlio di essere stato adottato. E’ meglio invece che gli si dica che è nato in modo speciale, dal cuore. Quando siamo partiti per il Brasile Mariaelena e Cosimo avevano 9 e 6 anni. Ovviamente li abbiamo coinvolti dall’inizio nella nostra scelta perché senza il loro ‘consenso’ non avremmo adottato”.
Una decisione presa pur avendo e potendo continuare ad avere figli naturali, sicuramente non tanto frequente. Il 97% delle coppie che intraprende tale strada, infatti, ha problemi nel concepire un bambino. Il presidente dell’associazione ha però tenuto a precisare come, anche in tali situazioni, non si tratti di un ripiego o di un figlio di serie B, ma di un’occasione diversa offerta dalla vita.
Cosa ha spinto Pino e sua moglie Annamaria? La loro è un’idea nata già durante il periodo del fidanzamento, messa inizialmente da parte dopo il matrimonio, poi ripresa.
“Avendo già due bambini – ha spiegato De Cicco – ci siamo resi conto di quanto fosse importante per loro avere i genitori e abbiamo quindi deciso di dare una famiglia a chi non aveva nulla. Io e mia moglie siamo soliti dire che la cicogna di casa è stata un po’ distratta e ha messo i nostri figli nel mondo. E’ toccato a noi cercarli”.
“Viaggiando ci siamo resi conto inoltre – ha aggiunto il presidente – che in Italia il bambino abbandonato, nonostante sia un dramma, può avere un minimo di rete legata alla Casa Famiglia che lo accoglie. In alcuni Paesi invece non c’è nulla”. Ci ha quindi raccontato un episodio raccapricciante accaduto a un bambino di 8 anni in Etiopia che, per fame, aveva rubato una patata in un campo. Il contadino l’ha visto e si è fatto giustizia da solo, cospargendogli la mano di alcol e dandole fuoco. “Dovendo aprire la famiglia – ha asserito De Cicco – per accogliere un figlio, l’adozione internazionale è stata una motivazione in più. Abbiamo poi voluto dare spazio a chi, per diversi motivi, non poteva recarsi all’estero anche se l’adozione nazionale pare essere più difficile poiché i bambini non sono molti e sono concentrati soprattutto nel meridione dell’Italia”.
A farla da padrona, però, continua a essere la burocrazia, con lunghissimi tempi d’attesa (anche di oltre 4 anni) che, se da un lato aiutano a maturare l’idea della scelta compiuta, dall’altro diventano una sofferenza per la coppia e anche per i bambini.
Per l’adozione internazionale ci si può rivolgere a circa 70 Enti, in Italia che hanno metodi diversi e incrociano Paesi con leggi differenti. Basti pensare che, con una recente modifica di legge, in Cambogia non è più possibile adottare se si hanno già due figli e in ogni caso se il bambino ha superato gli 8 anni. Per l’Ucraina, quando i futuri genitori sono chiamati, conosceranno il nome e l’età del piccolo solo dopo essersi recati lì, dove avviene l’‘abbinamento’.
L’adozione si conclude con la ratifica della sentenza all’estero da parte del Tribunale italiano.
Nota dolente è quella del ‘post adozione’ in cui “spesso le coppie si trovano da sole. Al rientro hanno bisogno di confrontarsi con altre persone per comprendere come risolvere i problemi che sorgeranno. C’è bisogno di creare una rete. L’associazione vuole offrire anche questo, prevendendo di organizzare incontri con esperti”.
Purtroppo, come detto, quando i bambini provengono da altri Paesi, ancora oggi, bisogna fare i conti con il razzismo. “Uno dei progetti della Casa di Giuseppe – ha asserito De Cicco – è istituire un osservatorio con l’obiettivo di monitorare il territorio facendo comprendere, anche attraverso dati scientifici, che il razzismo non ha motivo d’esistere. Un po’ più difficile, ma vorremmo anche dialogare con gli adulti sull’argomento”.
Ma perché il nome ‘La Casa di Giuseppe’? “E’ un invito – ha detto Pino – alla riflessione sulla figura del padre adottivo di Gesù e alla dinamiche spirituali inerenti la famiglia di Nazareth”.
Non sempre, sfortunatamente, le adozioni vanno a buon fine. Esistono anche i ‘fallimenti’, che rappresentano 1-2% dei casi. L’associazione per evitarli ha tra le sue svariate attività l’organizzazione di incontri di accompagnamento e sostegno per coppie che si avvicinano all’adozione, talvolta con il contributo di professionisti esterni esperti nelle tematiche relative all’infanzia in difficoltà, incontri di mutuo-aiuto per genitori adottivi sia condotti da professionisti esterni (psicologo e assistente sociale) che gestiti autonomamente dai partecipanti, percorsi di gruppo sia per i bambini (con attività ludiche e psicomotorie), sia per ragazzi adolescenti e pre-adolescenti e giovani adulti adottivi.